Trauma
- Trauma tra neuroscienze, psicoterapia e mitologia
- Trauma: una parola greca che significa “ferita“
- Traumi con la T maiuscola e traumi con la t minuscola
- Vi sono vari tipi di trauma
- Trauma e stress
- Ricordi immagazzinati in maniera disfunzionale
- Come affrontare il trauma
Trauma tra neuroscienze, psicoterapia e mitologia
Trauma: una parola greca che significa “ferita“
Non parleremo in questa sede del trauma della medicina somatica o di quello della neuropsichiatria, parleremo, invece, di una ferita, non meno dolorosa, dell’organismo psichico, di un blocco, di una frattura, di una rottura, di una profonda lacerazione che avviene nell’interiorità dell’anima, una ferita prodotta da eventi che hanno fatto irruzione in modo brusco e distruttivo.
Già ai primi del Novecento (1915–1917) Sigmund Freud elaborò la sua Teoria psicanalitica del trauma, in cui metteva in evidenza come l’intensità di un evento potesse apportare alla vita psichica di un individuo una tale quantità di stimoli che quest’ultimo non era in grado né di liquidare, né di scaricare, né di sfogare in un pianto liberatorio, né tantomeno di elaborare. Da ciò discendevano “disturbi permanenti nell’economia energetica della psiche “.
Ciò che produce un trauma è, quindi, un evento estremo, violento e lesivo, che intacca il senso di integrità e mette in scacco i meccanismi di difesa e quindi la capacità di fronteggiare la situazione, lasciando dietro di sé un senso di vulnerabilità e di sconfitta.
Possibile che non sia dato
compiere la più minuta
azione senza che il tempo
venga a riscuotere, usuraio atroce
la sua parte, con interessi
sempre più spropositati
esponenziali, demenziali,
ogni giorno di più,
da capogiro
sempre più rapidi
rapienti capogiri?
(Andrea Zanzotto)
Traumi con la T maiuscola e traumi con la t minuscola
Vi sono vari tipi di trauma
Incidenti, esiti di atti criminali, terremoti, catastrofi naturali e così via, sono traumi con la T maiuscola eventi estremi che hanno un inizio e una fine ben determinati.
Vi sono, poi, traumi con la t minuscola, eventi forse meno eclatanti, ma che si ripetono, minacce permanenti, croniche, prevedibili che si sedimentano nel tempo. Ciò accade sia negli abusi sessuali ripetuti o nelle quotidiane violenze familiari, sia nelle esperienze di chi esercita professioni d’aiuto (infermieri, vigili del fuoco, eccetera); l’accumularsi delle esperienze traumatiche, genera un senso di impotenza.
Trauma e stress
Lo stress protratto, causato dal trauma, mantiene l’organismo in uno stato patologico di allarme che può far insorgere ansia, collera, depressione, fobie, irrequietezza, pianto, agitazione, disturbi del comportamento e anche malattie psicosomatiche.
A livello corporeo il trauma produce vistosi cambiamenti nei sistemi neurovegetativo, neuro endocrino, muscolo-scheletrico e immunitario:
- Maggior secrezione di adrenalina, endorfine, cortisolo, seretonina.
- Maggior forza muscolare.
- Attività cardiaca e respiratoria accelerata.
- Anestesia somatica: la reazione al dolore diminuisce, non sente più la fame e la sete.
A livello della psiche:
- l’attenzione e la concentrazione sono focalizzate all’esterno e portano ad azioni concrete.
- l’individuo si allontana con la mente da ciò che sta succedendo (insensibilità)
- le sue emozioni sono alterate (anestesia psicologica).
Ricordi immagazzinati in maniera disfunzionale
In seguito alle esperienze traumatiche, le emozioni e le sensazioni disturbanti vengono immagazzinati in maniera disfunzionale, creano, pertanto, uno squilibrio biochimico ed energetico. Ciò produce un profondo disagio sia a livello psichico che comportamentale, compaiono problemi fisici, ma anche malattie e sindromi dolorose, disagio che in un linguaggio tecnico viene definito Sindrome post traumatica da stress (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD).
Nello schema sotto riportato possiamo vedere le interazioni normalmente esistenti tra i tre emisferi del nostro cervello:
- neocorteccia (pensiero e memoria episodica conscia)
- sistema limbico (emozioni)
- tronco encefalico (memoria procedurale inconscia non verbalizzabile)
In seguito all’evento traumatico è come se una “centralina” del nostro cervello andasse in tilt e permettesse solo un funzionamento al minimo, una sorta di anestesia psicologica, attraverso meccanismi dissociativi di sopravvivenza.
I ricordi possono cessare di essere processati consciamente dal nostro cervello più recente, la neocorteccia, da cui vengono eliminati; essi sopravvivono, però, a livello del nostro cervello più antico, il rettiliano, il tronco encefalico che nulla dimentica e continua a registrare in modo inconscio, a suo modo, indiscriminatamente tutti gli eventi nella memoria procedurale, in cui i ricordi rimangono a livello del corpo e parlano un linguaggio il cui codice non è quello della parola, del pensiero lineare della neocorteccia, fatto di simboli verbali, ma quello preverbale corporeo.
Come affrontare il trauma
L’obiettivo sarà il riallineamento dei tre cervelli, in altre parole, un riallineamento tra pensare, sentire e volere; tra pensiero, emozione e corporeità. Dalla dissociazione alla sintesi tra i tre cervelli.
Importante sarà ricontattare il corpo, ricontattare quelle memorie corporee che usano un codice diverso da quello razionale. Pertanto affrontare il trauma non vorrà dire ricordare il trauma, poiché come abbiamo visto, il trauma e lo stress, da esso derivante, hanno attivato meccanismi dissociativi di sopravvivenza che possono aver dato luogo anche all’eliminazione del ricordo. Bisogna rintracciare le tracce mnestiche che sono rimaste a livello corporeo e ritradurre simbolicamente quelle percezioni corporee.
Il ricordo di un trauma, patito o inflitto, è esso stesso traumatico, perché richiamarlo duole o almeno disturba: chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per non rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il suo senso di colpa.
(Primo Levi)
Il cammino non è facile, poiché i traumi provocano come reazione protettiva una dissociazione anche dall’esperienza corporea e sensoriale da essi prodotta. Il dialogo terapeutico dovrà pertanto avvenire contattando il livello non verbale di queste esperienze avvertite come estremamente pericolose e minacciose.
Solo rivivendo quelle sensazioni corporee e legandole ad immagini metaforiche che permettano di entrare rispettosamente, aggirando le difese, nelle emozioni sottostanti, senza che il soggetto si senta sopraffatto, si potrà avviare un processo di guarigione.
Fondamentale è l’uso dell’immaginario in questo tipo di terapia, al fine di ricreare le connessioni tra il somatico e lo psichico, tra corpo e mente e poter accedere alle memorie procedurali inconsce.
Come abbiamo visto, queste memorie sono preverbali e non possono essere ricordate come episodi, sono, infatti, procedure senso-motorie, costituite da micro-unità narrative non esprimibili a parole.
Sono le memorie non elaborate a produrre i sintomi:
- ansia
- depressione
- insonnia
- attacchi di panico
- malattie psicosomatiche, ecc.
Le terapie immaginative e in particolare l’ITP, utilizzando sia le risorse dell’emisfero destro che quelle dell’emisfero sinistro, permettono di rielaborare con la presenza empatica del terapeuta le memorie implicite relative al trauma depositate nel corpo e di ripristinare il benessere psicofisico attraverso una narrazione simbolica del proprio vissuto.
La grande scrittrice danese Karen Blixen ci rammenta che
“Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi”.
Si può fare entrare i dolori in una storia anche attraverso i miti; questi, infatti, vanno a toccare gli aspetti più nascosti della nostra psiche e ne svelano i segreti più profondi.
La vera essenza e l’enigma del trauma possono essere svelati dalla mito greco di Medusa.
Come ci insegna Levine (2010), questa antica narrazione va a toccare desideri ed emozioni umane molto profondi. Risorse insperate e forze sconosciute emergono dall’inconscio a produrre importanti cambiamenti.
Il gelido sguardo di Medusa, il mostro dalla chioma di serpenti, aveva il potere di mutare in pietra chi lo avesse incrociato incutendo terrore, dolore e disperazione.
La dea Atena suggerì a Perseo di non guardare mai Medusa dritto negli occhi e di tagliarne la testa, evitando, così, di essere trasformato in pietra.
Il ricordo del trauma ci traumatizza ancora, non si può guardarlo diritto negli occhi senza rimanerne pietrificati.
Attraverso una psicoterapia è ben condotta è possibile, però, affrontare le insidie di questo mostro crudele e punitivo, avviarsi ad un processo di trasformazione e risorgere alla pienezza di una nuova vita serena e gioiosa.
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